In libreria il nuovo libro di Andrea Cotticelli “Le chiavi del Mediterraneo. Gli esordi del Colonialismo Italiano”

Nella seconda metà dell’Ottocento l’Italia fu l’ultima delle Potenze europee ad inserirsi nella contesa coloniale. Esploratori, missionari e commercianti italiani si avventuravano in territori sconosciuti dell’Africa per aprire la via a possibili stabilimenti commerciali, protettorati e colonie. I governi italiani, superati i molteplici problemi dovuti alla recente unificazione del Paese e stabilizzata la posizione dell’Italia nel concerto europeo, cominciarono ad indirizzare il loro sguardo verso l’oltremare.
Artefice della politica coloniale fu Pasquale Stanislao Mancini, chiamato da Agostino Depretis nel 1881 a far parte del suo governo come Ministro degli Affari Esteri. Nobile campano, uomo di scienze del diritto, abituato a muoversi tra le sicure e salde normative dettate dalla giurisprudenza, Mancini doveva ora dar prova di essere in grado anche di navigare nelle torbide acque della diplomazia internazionale tra furbizie, inganni e parole oggi proferite e domani negate.
Le mire del governo italiano furono in un primo tempo orientate verso il vicino Mar Mediterraneo. Ma il colpo di mano messo a segno dalla Francia con l’occupazione di Tunisi nel 1881, il mancato intervento in Egitto a fianco della Gran Bretagna nel 1882 e la rinuncia a sbarcare a Tripoli nel 1884, avevano precluso all’Italia le coste dell’Africa settentrionale.
A questo punto Mancini indirizzò le sue mire verso le sponde africane del Mar Rosso convinto di trovare lì “le chiavi del Mediterraneo”. Una scelta presa in parte anche grazie alle singole azioni di alcuni nostri esploratori nel Corno d’Africa, tra cui quelle di Giuseppe Sapeto, Giuseppe Maria Giulietti, Gustavo Bianchi, Antonio Cecchi, Ferdinando Fernè e Umberto Romagnoli.
Sull’onda emotiva dell’eccidio della spedizione guidata dall’esploratore Giuseppe Maria Giulietti, avvenuta sulle coste del Mar Rosso, Mancini nel 1882 fu il fautore dell’acquisto della baia di Assab dalla Compagnia Rubattino, trasformandola nella prima Colonia italiana. Quindi, intimorito dagli appetiti coloniali delle altre potenze, Francia in primo luogo, e confortato dalle buone relazioni con la Gran Bretagna, che si mostrava favorevole ad azioni italiane nel Mar Rosso, il Ministro cominciò a intravedere per l’Italia orizzonti più estesi e si adoperò per tracciare un ambizioso programma coloniale, che prevedeva di portare il Tricolore su un esteso territorio dell’Africa Orientale, comprendente Eritrea, Sudan, Somalia ed Etiopia, che però non ebbe la possibilità di realizzarsi, se non in minima parte, sia per interferenze parlamentari che per incomprensioni internazionali.
Fu così che l’Italia il 5 febbraio 1885 occupava Massaua, il porto più importante del Mar Rosso, e a seguire pose sotto il Tricolore tutto il tratto di costa eritrea compreso tra Massaua ed Assab per una lunghezza di circa 400 chilometri. Contemporaneamente l’esploratore Antonio Cecchi, in missione per conto del governo alle foci del Giuba nell’Oceano Indiano, il 28 maggio 1885 siglava un Trattato di Amicizia e Commercio con Zanzibar, che sanciva di fatto l’avvio della presenza italiana sulla costa somala. Questi due successi italiani, ma purtroppo gli unici, delinearono a Nord con Massaua e a Sud con il Giuba i futuri confini dell’influenza dell’Italia nel Corno d’Africa.
L’ambizioso programma coloniale di Mancini si fermò qui, a seguito della sua uscita dalla scena politica. A lui va il merito di aver costituito le basi dell’Impero Coloniale Italiano che nell’arco dei successivi cinquant’anni si svilupperà nel Corno d’Africa.