Coordinamento campano acqua pubblica sul fallimento di ACS.

Riceviamo e pubblichiamo: Il futuro di Alto Calore Servizi dipende dalla volontà politica. Se si vorrà veramente, si  fonderà un’azienda speciale consortile così come indicato dal referendum. Era stato previsto per ACS un’investimento complessivo di circa 60 milioni di euro, da attuarsi in un triennio: le opere previste avrebbero consentito di ridurre gli alti costi di manutenzione ordinaria e di pompaggio che allo stato attuale complessivamente incidono fortemente sui costi di produzione. Inoltre la Regione Campania e l’EIC avevano candidato l’Azienda Alto Calore Servizi come Gestore Unico per riconfermare la gestione del suo attuale distretto, entro giugno 2022 e consentendo così l’accesso al PNRR. I 60 milioni e i finanziamenti del PNRR avrebbero ridotto i costi della gestione e aiutato il risanamento.
Ma adesso come una tegola in testa, la Sezione contro la criminalità economica della Procura della Repubblica di Avellino ha avanzato richiesta di fallimento per l’Alto Calore Servizi SpA., e non vede prospettive di risanamento per i quasi 150 milioni di euro di debito. Per la Procura e i suoi consulenti, non ci sarebbe spazio per recuperare un debito come quello che riguarda l’ACS. Ne sapremo di più dopo la prima udienza  che avrà luogo il 19 ottobre. Tutto questo sembra cadere a fagiolo in un momento cruciale, che avrebbe consentito all’azienda di rialzarsi, ma l’inchiesta da cui è scaturita la decisione di chiedere il fallimento è stata avviata nel 2019, quando erano state acquisite scritture contabili, bilanci e altra documentazione relativa alla gestione di ACS. La storia di questo ingente debito che ha come complici i sindaci che hanno votato i vari bilanci, è lunga e travagliata e tutto questo dovrebbe far riflettere i cittadini. Siamo tutti coinvolti, prima di tutto i politici che hanno gestito in maniera incredibilmente irresponsabile l’azienda (forse perché riempiendola di debiti sarebbe stato più facile privatizzare oppure per incapacità, o per disonestà) ed anche i cittadini che nonostante i continui fallimenti dell’operato di questi politici, hanno continuato a votarli.
Il Forum dei Movimenti per l’acqua  sostiene che la gestione debba essere pubblica, ma per pubblico non intende nelle mani dei partiti, ma ci dovrebbero essere degli esperti slegati dalle logiche dei partiti, a gestire con il controllo dei cittadini. Cosa succederà? Il fallimento potrebbe portare ad una rapida privatizzazione.
La riforma del settore idrico contenuta nel Recovery Plan, così come aggiornato dal governo Draghi, punta ad un sostanziale obbligo alla privatizzazione, in particolare nel Mezzogiorno.
L’attuale versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza risulta in perfetta continuità con l’azione dei governi precedenti tesa a disconoscere e tentare di cancellare l’esito referendario: un ulteriore incentivo verso la gestione privata dei beni comuni, un evidente vulnus democratico per il mancato rispetto della volontà popolare. Il Sud Italia viene individuato come la nuova frontiera per l’espansione di questa tipologia di aziende che garantiscono la massimizzazione dei profitti mediante processi finanziari., proprio quello che il referendum del 2011 dice che non si deve fare – non si deve trarre profitto da un elemento essenziale per la vita. Politici senza morale e senza scrupoli hanno cancellato il referendum.  Del resto Draghi è quello della lettera ferragostana della BCE scritta insieme a Trichet che chiedeva al Governo italiano di cancellare il primo quesito referendario qualche mese dopo la vittoria referendaria. Per questa gente la democrazia è una cosa stupida che ostacola i loro obbiettivi di privatizzazione del mondo per cedere tutte le risorse a potenti multinazionali. Ed è proprio a una di queste che vorrebbero affidare il grande distretto del centro sud ( distretto che hanno intenzione di far nascere) e questa multinazionale si chiama Veolia e c’è anche Suez. I cittadini devono sapere queste cose. Si unisce una gestione pessima che ha portato al disastro, alla volontà di privatizzare, una catastrofe dopo l’altra. Chissà quando ci sarà qualcuno che penserà soltanto al bene collettivo!
Sia che ACS fallisca o meno, il suo destino dipende dai politici locali che dovranno scegliere se privatizzare disobbedendo alla volontà di 27 milioni di elettori, o se intendono seguire la legge e creare quindi un’azienda speciale consortile. Purtroppo tanti qui in Irpinia, che dicono di voler rispettare il referendum, invece hanno lavorato per la privatizzazione. Chiediamo che comunque vadano le cose, si realizzi un’azienda speciale consortile che è l’unica che ci assicura che la gestione dell’acqua sia pubblica. A Napoli dove sono stati coerenti col referendum realizzando un’azienda speciale pubblica, non ci sono debiti e l’azienda ABC è in attivo. Questo è proprio il momento per un cambiamento, per una gestione veramente pubblica con un’azienda di diritto pubblico.
Oggi più di ieri è importante riaffermare il valore universale dell’acqua come bene comune e la necessità di una sua gestione pubblica e partecipativa come argine alla messa sul mercato dei nostri territori e delle nostre vite, contrastare il rilancio dei processi di privatizzazione attuato mediante il PNRR e le riforme che lo accompagneranno. Chiediamo qui in Irpinia ai politici, agli amministratori che decidono, di essere coscienziosi e intanto speriamo che ACS non fallisca, salvando così i posti di lavoro. Ma ci vogliono cambiamenti radicali.
Si scrive acqua, si legge democrazia.
Giuseppina Buscaino ( Referente Provinciale del Coordinamento Campano acqua pubblica)