Come sociologa ne ho parlato tante di quelle volte che oggi sento il dovere di non sottacere il mio disappunto. Come lavoratrice a progetto ho sempre considerato il sociale un settore su cui investire efficacemente. Basta progetti slegati dalla realtà, ma non solo, dalle reali esigenze di una miriade di categorie di invisibili di cui ci si dimentica completamente.
Laureati in materie sociali alla merce di cooperative che sfruttano qualificati lavoratori, sottopagati e svalutati per le loro mansioni. Il tempo mi dà, purtroppo ragione, i vuoti di questi anni si ripercuotono inevitabilmente sulla qualità di vita e di relazioni significative. Ci si allontana dai riferimenti delle strutture pubbliche capaci di intercettare disagi ed emergenze. Professionalità lontane da un mercato del lavoro non capace di assorbire talune risorse adeguatamente in servizi di contatto e di prossimità. Una distanza che crea solitudine, marcata disattenzione e assenza di servizi di presa in carico in base al rischio di isolamento. È grave, oltre che pericoloso. Una ricerca di fatto che manca da anni, sulla qualità e quantità dei servizi corrispondenti a una mutazione dei bisogni locali. Da più tempo, si chiede una maggiore assunzione di responsabilità e di concretezza. Un osservatorio che sondi e risponda con celerità e funzionalità alle emergenze sociali con personale qualificato, continuo e variegato che accompagni nei vari percorsi personali. Non c’è crisi che tenga, certi anelli di congiunzione non devono mancare o essere sostituiti. Sarebbe un errore irreparabile.
Ho assistito a esistenze a metà tra varie urgenze e, ogni volta, persone e risorse, sono limitate nel tempo e nello spazio.
Per chi lavora da vent’anni in questo settore, i tagli e l’indeterminatezza hanno condizionato pesantemente sulla continuità di un lavoro importante e capillare. Da dieci anni a questa parte i comuni sono sotto lo scacco di “Leggi Tampone” e chi gestisce i servizi pubblici, il lavoro risente della frammentarietà e ripartizione di un contratto instabile e determinato.
Non se ne può più di tecnici che gestiscono i servizi, laureati e lavoratori qualificati completamente dipendenti e sottomessi a logiche clientelari.
Gli anonimi e gli invisibili vivono solitudini urbane fuori da ogni sostegno.
Non si può morire per solitudine.
Non si può contenere la rabbia di chi chiede di fare di più.
La sociologa Maria Ronca