Ronnie Peterson: il campione scandinavo avrebbe oggi settantasette anni

Un volto quasi cinematografico, poco meno di un metro e ottanta, capelli castano chiaro e la battuta sempre pronta. Chi lo conosceva, lo definiva cosi, Ronnie. Nato nel ’44 ad Örebro, una cittadina nell’entroterra Svedese, inizia a correre giovanissimo con i Kart, spinto dalla passione del papà, panettiere di professione ma con una passione irrefrenabile per i motori. Dopo i primi anni con i kart, il giovane pilota passa alla Formula 3 negli anni successivi. Era bravo, tanto da attirare l’attenzione della scuderia dei Pederzani, produttori di go-kart. I due fratelli bolognesi vogliono dare fiducia alla giovane promessa, tanto che, nel 1968 Peterson sottoscrive il contratto, vincendo lo stesso anno (e l’anno seguente) il titolo.

I titoli vinti in Formula 3 fanno approdare lo Scandinavo in Formula 1 nel 1970, al volante della neonata March, dove il primo anno non ottiene risultati. L’anno successivo, grazie ad una serie di podi, Ronnie arriva secondo, non ottenendo però risultati ecclatanti l’anno seguente. Il 1973 è invece anno di cambiamenti. Il trasferimento dalla March alla Lotus permette al giovane pilota di far emergere il suo talento. Nove pole position e quattro Gran Premi, spesso risultando più veloce del suo compagno di squadra già campione del mondo, Emerson Fittipaldi. Nonostante le difficoltà affrontate dalla Lotus con il modello 76, Peterson vince tre Gran Premi nel 74, tra cui quello di Monza. Sono gli anni in cui lo svedese viene soprannominato SuperSweede, per via della sua sensibilità nel controllare la potenza del mezzo ai limiti della tenuta, nonchè per i suoi giri sempre veloci. L’impossibilità di progresso delle vetture Lotus attribuibile alle difficoltà economiche della scuderia in quegli anni, induce Peterson a firmare un nuovo contratto con la March nel 1976, aggiudicandosi la vittoria al GP di Monza. Dopo una breve parentesi alla Tyrrell, dove ottiene scarsi risultati, ritorna alla Lotus nel 1978. Il contratto sottoscritto con la scuderia di Chapman costringe Ronnie al ruolo di seconda guida, imbrigliandone il talento, scaturendo un malcontento tale da indurlo a sottoscrivere un nuovo contratto con la McLaren per la stagione successiva.

Peterson non correrà per il neozelandese Bruce McLaren poichè rimane coinvolto in un incidente fatale nel Gran Premio di Monza nel 1978. L’accensione troppo anticipata del semaforo verde è tra le cause dell’incidente, in quanto non tutte le vetture erano già allineate e ferme nelle griglie delle ultime file. L’imbottigliamento generato in prima variante genera la carambola fatale. Le vetture di Patrese, Hunt, Regazzoni e Brambilla restano coinvolte. La monoposto della Lotus, dopo la collisione iniziale e dopo essere stata colpita dalla Surtees del monzese Brambilla, si schianta contro il muretto di collegamento con la pista Junior, prendendo fuoco. Il pilota britannico Hunt è il primo a raggiungere l’auto di Peterson, seguito dai soccorsi e l’ambulanza che arriva solo dopo 18 minuti. E’ il caos. Sette fratture alla gamba sinistra e quattro alla gamba destra ma è vivo e cosciente. Ronnie viene trasportato all’ospedale Niguarda, dove viene sottoposto ad un delicato intervento per ricostrurigli gli arti inferiori durato oltre 6 ore. La mattina seguente, nonostante gli sforzi dei medici, viene però colpito da un’embolia lipidica e da alcune complicazioni che causarono il decesso.

SuperSweed in quell’incidente fatale porta con sè la sua grinta ma lascia senz’altro un ricordo indelebile negli appassionati di Formula 1. A distanza di anni è considerato uno dei piloti più forti degli anni ’70. Nel 2014, Niki Lauda, al termine del Gran Premio di Germania, definisce Peterson come “il migliore tra i piloti pur non avendo mai vinto il mondiale”.

Davide Esposito