Gli scatti del fotografo cubano Jesse A. Fernández (1925-1986) in mostra all’Instituto Cervantes di Roma dal 18 gennaio al 3 marzo

Per più di trent’anni, tra il 1952 e il 1986, il fotografo e artista cubano Jesse A. Fernández, nato a L’Avana nel 1925, praticò quello che abbiamo definito un «vagabondaggio ispanico» soggiornando in una serie di paesi americani ed europei, dalla sua natia Cuba alla sua Spagna d’origine, passando per Messico, Colombia, Guatemala, Francia, Italia o Stati Uniti. In tutti questi paesi dimostrò interesse per la realtà e per i personaggi del mondo culturale della città in cui si trovava – a tal proposito, la serie newyorkese dedicata al jazz è illuminante –, e allo stesso tempo in tutti questi posti rintracciò il comune denominatore: la connessione con l’ispanico, sia nelle persone che nel paesaggio, che ispirò sempre il suo lavoro. Le sue fotografie esprimono tale interesse per il luogo allo stesso modo delle costanti che caratterizzano la sua poetica artistica, ciò che si manifesta nei due generi essenziali sempre praticati, il ritratto e il paesaggio urbano. Il primo, per il quale è più noto, è una specialità nella quale lo scrittore cubano Guillermo Cabrera Infante – che lo inserisce tra i personaggi del suo romanzo cubano Tres tristes tigres – lo considera un maestro indiscusso e nella quale ottiene un riconoscimento generale come rivela la mostra Retratos, tenuta a Madrid poco prima della sua morte nel 1986.
Jesse A. Fernández, personalità innegabilmente affascinante, mantenne stretti rapporti con gli esponenti del mondo culturale dei luoghi in cui viveva, dedicando particolare attenzione a quelli che rappresentavano il mondo ispanico. Pertanto, se nella New York degli anni Cinquanta e Sessanta ritrasse Marcel Duchamp o Marlene Dietrich, con lo stesso interesse ritrasse scrittori, artisti e musicisti del mondo ispanico presenti nella città come Salvador Dalí, Max Aub, Mario Vargas Llosa, Nicanor Parra o Carmen Amaya, allo stesso modo in cui avrebbe fatto in seguito a Parigi o a Madrid negli anni Settanta e Ottanta.
Tale combinazione di mondi e tale panoramica degli elementi culturali comuni, come succede con la serie dedicata alle catacombe di Palermo, è ciò che mette in evidenza il suo lavoro e ciò che si è voluto mettere in risalto nella presente mostra dedicata all’itinerario personale e fotografico attraverso il Nuovo e il Vecchio Mondo, in cui l’elemento ispanico serve da connessione. Grazie alle immagini dell’ambiente urbano, in cui è quasi sempre presente qualche personaggio, e ai ritratti delle personalità culturali ispaniche più rilevanti con cui si rapporta, è stato tracciato un percorso che partendo dalla Colombia, in particolare Medellín e Bogotà, e passando per Guatemala, Messico, New York, L’Avana, Porto Rico, Madrid e Parigi, termina a Palermo. Nelle fotografie di tutti questi posti, che esprimono un percorso cruciale, unito a una poetica comune presente in Leica o Hasselblad, vi è una presenza urbana importante in cui la Cuba dei primi mesi della Rivoluzione ricopre una particolare rilevanza dovuta alla vicinanza del fotografo ai nuovi leader politici. In tutti questi lavori si rintraccia l’ammirazione di Jesse A. Fernández, a volte resa nota, di fotografi come Walker Evans, Nadar e Henri Cartier-Bresson, che riconosce come maestri, o anche di Paul Strand, Brassaï e August Sander. Influenze che rivelano la sua duplice condizione di ritrattista e vagabondo urbano attraverso luoghi diversi che ha saputo rapportare alla sua prospettiva.