Chiusura Liceo Mancini: le riflessioni di Monia Gaita

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO: La chiusura del glorioso Liceo Mancini con oltre 1200 alunni “licenziati” in attesa di reintegro, ci catapulta nell’annosa questione degli edifici pericolanti. Malgrado il terremoto dell’80, malgrado la rapace e meschina speculazione che ne seguì, malgrado i proclami a gran voce della politica, malgrado le tante leggi sull’adeguamento antisismico dell’edilizia scolastica.
Certo, occorre fare i conti con i soldi che mancano, un dato col quale le amministrazioni, necessariamente, si confrontano.
Ma occorre anche fare i conti con una scala di priorità scavalcata e ignorata da chi ci governa.
L’Italia è il Paese dove i problemi non si prevengono, ma si affrontano grottescamente e confusamente solo quando arrivano.
Ho frequentato anch’io il Liceo Mancini di via De Conciliis e vi ho lasciato una fetta di me, nostalgica e affettiva.
E adesso mi chiedo: qual è la soluzione per tante famiglie e tanti docenti? Adibire un’area a zona containers per gli “sfollati”, come sostiene pure la professoressa Tiziana Caterina, mi sembra un approdo ragionevole e realizzabile nel breve tempo. E lancio una provocazione: se il Tribunale ha apposto i sigilli al Mancini, avrebbe il dovere di fare altrettanto con le numerose e fatiscenti strutture scolastiche di Avellino e provincia. Una provocazione che sa di follia. Non possiamo chiudere le scuole. Ogni malato ha bisogno di una terapia. Le scuole irpine e italiane sono malate: hanno bisogno di medicine. E allora che facciamo nell’attesa? Le chiudiamo tutte? Ma mi domando: se viene il terremoto, le nostre case sono antisismiche? E lì i nostri ragazzi sarebbero al sicuro?
Io credo che sia più giusto affidarci al buonsenso e a serie strategie che ripristino la funzionalità normale delle attività didattiche e diano con fulmineità risposte “tampone” ad affrontare l’emergenza. Sappiamo tutti che le nostre scuole sono maliarde: hanno il volto ben truccato, ma sotto, non si lavano.