Aspettando la befana, Michele Placido sul palcoscenico del Gesualdo

Di Antonio Guarino – Dopo il successo del concerto del tenore Piero Mazzocchetti, il 2013 del Teatro “Carlo Gesualdo” prosegue all’insegna dell’amore e della tragedia raccontati da Michele Placido in “Re Lear” di scena sabato 5 gennaio 2013 alle ore 21.00 e domenica 6 gennaio alle ore 18.30.
Re Lear esplora la natura stessa dell’esistenza umana: l’amore e il dovere, il potere e la perdita, il bene e il male, racconta della fine di un mondo, del crollo di tutte le certezze di un’epoca, lo sgomento dell’essere umano di fronte all’imperscrutabilità delle leggi dell’universo. Morte e distruzione, equivoci e sofferenza, ma anche Amore, quello con la A maiuscola per uno dei drammi più conosciuti ed apprezzati di William Shakespeare e che sarà interpretato da uno degli attori italiani più amati dal grande pubblico.
Questo è il Re Lear diretto e interpretato da Michele Placido, non un testo teatrale ma un mondo, quel mondo che come una fenice riesce a rinascere dalle sue ceneri, immensa metafora della condizione umana. Un appuntamento con la vecchiaia e con il confronto generazionale a cui nessuno può sottrarsi.
All’inizio del dramma Lear rinuncia al suo ruolo, consegna il suo regno nelle mani delle figlie, si spoglia dell’essere re, pilastro e centro del mondo, per tornare uomo tra gli uomini, rifarsi bambino e in pace “gattonare verso la morte” . E come un bambino pretende l’amore, esige in cambio della cessione del suo potere che le figlie esprimano in parole i loro sentimenti per lui. Ma Cordelia, la figlia più piccola di Lear, sa che l’amore è un sentimento troppo profondo per poter essere espresso con le parole e alla richiesta del padre può rispondere solo: “nulla, mio signore”. È questo equivoco, questo confondere l’amore con le parole, che, nel momento in cui le altre figlie si mostreranno per quello che sono, farà crollare Lear rendendolo pazzo. E con Lear è l’intero mondo che va fuor di sesto, la natura scatenata e innocente riprende il suo dominio, riporta gli uomini al loro stato primordiale, nudi e impauriti, in balia del freddo e della pioggia a lottare per la propria sopravvivenza, vermi della terra. Qui comincia il crudele cammino d’iniziazione: resi folli e ciechi per non aver saputo capire o vedere, Lear e il suo alter ego Gloucester, accompagnati da figli che si son fatti padri, giungeranno finalmente a capire e vedere.
La storia che Placido racconta in scena è la storia dell’uomo, la storia di civiltà che si credono eterne ma che fondano il loro potere su resti di altri poteri. Ma c’è un senso in questa tragedia: si arriva a capire cosa è davvero l’uomo di fronte all’universo attraverso un percorso di spoliazione in cui l’amore e la solidarietà si mostrano nello loro essenza terribilmente umana. Per dirla alla Pascal: “l’uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua bastano a ucciderlo. Ma quand’anche l’universo intero si armi l’uomo sarebbe sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa morire, e conosce la superiorità che l’universo ha su di lui; mentre l’universo non ne sa nulla”.
Aiutare la creazione di questa consapevolezza, questo è il messaggio della tragedia che Michele Placido porterà in scena al Teatro Gesualdo a patto che però lo spettatore non dimentichi mai di trovarsi a teatro, che faccia attenzione a non cadere nell’illusione di un altro mondo, che veda sempre il muro dietro la scena di cartone.