Arleo: servono agevolazioni per implementare lo smartworking e riorganizzare i turni delle produzioni. Crediti d’imposta per le pmi sopra i 5 milioni di fatturato e finanziamenti a fondo perduto per quelle sotto i 5 milioni

“Servono agevolazioni per le Pmi al fine di implementare lo smart working. Ormai è chiaro che le aziende dovranno puntare sullo smartworking per tutte quelle funzioni che si possono svolgere lavorando da casa. Dovranno inoltre riorganizzare i turni delle produzioni per chi lavora in fabbrica. Per farlo, però, le Pmi non possono essere lasciate sole. Occorrono strumenti ad hoc definiti dal Governo o dalle regioni, come avvenuto in Lombardia”. A proporlo è  Giuseppe Arleo, coordinatore dell’Osservatorio per la ricostruzione economica post Covid19 del think tank Competere.eu .
“Il lavoro da casa  – spiega Arleo – presuppone che le aziende dotino il personale di un computer dedicato e di una connessione protetta ad alta velocità, creando sistemi di intranet sicuri ed efficienti. Sono processi impegnativi, che richiedono fondamentali investimenti in infrastrutture tecnologiche e una serie di incentivi ad hoc, calibrati a seconda della dimensione dell’impresa. Si possono prospettare contributi a fondo perduto per le imprese con un fatturato al di sotto dei 5 milioni di euro e crediti d’imposta per le imprese con un volume di fatturato più elevato, assicurando procedure snelle e veloci per la massima efficacia dello strumento di incentivazione.
Lo stesso discorso vale per le produzioni. E’ inimmaginabile, per i danni che provocherebbe, un nuovo lockdown del sistema produttivo, ma le imprese vanno aiutate a ripensarsi.
Per garantire il distanziamento sociale bisognerà rivedere turni e presenza nelle catene produttive, con costi non indifferenti per le aziende. Soprattutto per le Pmi abituate a lavorare su un solo turno.
La proroga dello stato di emergenza ha ancora di più stressato un sistema welfare in discussione da anni nell’epoca pre-covid. Accanto alle problematiche delicatissime del blocco dei licenziamenti, della proroga della Cig per i dipendenti e della copertura finanziaria degli ammortizzatori sociali, si impone l’urgenza di una nuova disciplina dello smart working, da concepire come modalità di lavoro “ordinaria”.  Siamo dinanzi ad un nuovo modo di lavorare, reso possibile dall’attuale tecnologia anche a prescindere dallo stato di urgenza e di necessità, e indipendentemente dal fatto che possa svolgersi a tempo pieno o part time, integrato da periodi di attività in azienda.
Ad oggi si stima che in Italia circa 6 milioni di addetti stanno lavorando in modalità smart working in assenza di alcuna intesa formale tra datori di lavoro e dipendenti.
E’ evidente la necessità, una volta superata l’emergenza, di regolamentare tali situazioni. Anche questa svolta deve essere favorita dallo Stato con misure incentivanti che rendano meno gravosa e più sicura la nuova modalità lavorativa. Potrebbero ad esempio essere previsti bonus per gli interventi finalizzati a fornire i dipendenti di hardware e software avanzati, e per loro stessa formazione in merito all’utilizzo delle nuove tecnologie. Su un altro fronte – conclude Arleo – occorre sostenere le imprese impegnate a risolvere la problematica strategica della sicurezza dei dati, superando i rischi oggettivamente più elevati derivanti da un’attività in rete resa sempre più pervasiva dai processi di integrazione e interconnessione digitale”.